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Da settimane si discute sullo stallo che regna nelle istituzioni comunitarie incapaci di dare un via libera definitivo al Recovery Fund, lo strumento per la ripresa immaginato alcuni mesi fa dalla Commissione Europea e avallato dal Consiglio europeo nel lungo e complesso negoziato del luglio scorso.
Secondo la vulgata prevalente il colpevole ritardo di Bruxelles sarebbe “responsabilità dei governi sovranisti di Polonia e di Ungheria”, a causa del veto da loro espresso “nei confronti del Recovery Fund”. A questa lettura fuorviante si é spesso accompagnata la richiesta a Giorgia Meloni, che presiede il partito dei Conservatori europei di cui é membro importante il partito di governo polacco (PiS), di prendere le distanze da questi presunti comportamenti “anti-italiani”.

Giova quindi precisare e ribadire che i governi di Orbán e Morawiecki non hanno affatto posto il veto sul Recovery Fund, rispetto al quale si sono a più riprese detti favorevoli, bensì al bilancio pluriennale 2021-27 dell’UE (unico dossier del pacchetto in discussione su cui si procede all’unanimità e sul quale, quindi, si può esercitare il veto), poiché il Parlamento Europeo e alcuni governi hanno spinto per rivedere l’accordo di luglio introducendo una clausola che collega il prossimo bilancio Ue al rispetto dello “stato di diritto”.

Questa scelta non soltanto si pone in contrasto con l’accordo raggiunto all’unanimità a luglio, ma va molto oltre i Trattati che già oggi consentono, con la procedura ex articolo 7, di intervenire in caso di gravi violazioni dello “stato di diritto”, ovvero di quei valori fondamentali di libertà e democrazia sanciti all’articolo 2 e in cui tutti noi ci riconosciamo. Tanto più vi si riconosce chi, oggi al governo a Budapest o a Varsavia, in passato ha animato l’opposizione democratica ai regimi comunisti.

Con questa clausola, tutta politica e senza solide basi giuridiche, si punta a colpire quei governi che hanno posizioni di politica interna dissonanti da Bruxelles e dal mainstream. Peraltro, verrebbe da dire che se si vuole davvero difendere l’indipendenza della magistratura in Europa bisognerebbe forse cominciare proprio dall’Italia, terra dei Palamara e della spartizione correntizia dei ruoli dei togati.

Ma tant’é. La cosa che più preoccupa é la ricaduta economica di questo stallo. Perché non può sfuggire agli osservatori più attenti che questo irrigidimento del Parlamento e del Consiglio europeo contro Polonia e Ungheria fa il gioco (o forse ne è direttamente ispirato) dei Paesi cosiddetti frugali, che da mesi avversano il piano per la ripresa e il principio stesso di un debito comune europeo per rispondere alla crisi.
E’ difficile pensare che tutto ciò sia un caso.

L’auspicio é che il prossimo Consiglio del 10-11 dicembre riparta dal testo approvato a luglio, rinunciando ad ogni arma di ricatto politico e distinguendo nettamente il tema dello stato di diritto dal bilancio Ue, le cui erogazioni devono avere come unico vincolo quello della trasparenza e della correttezza del loro utilizzo. Così dicono i Trattati.

Se così sarà, rimarrà sul nostro cammino l’enorme macigno relativo alla capacità italiana di progettare il nostro Piano nazionale di riforma, di predisporre le strutture burocratiche alla gestione di queste risorse e più ampiamente di presentarci all’altezza della sfida. Su questo terreno ancora troppa é la confusione sotto il cielo e il nostro auspicio é che il Governo, che oggi si presenta in ritardo rispetto ad altri esecutivi europei, voglia individuare rapidamente priorità e strumenti e li sottoponga senza indugio alle forze sociali, alle Regioni e soprattutto alle opposizioni.
Perché ragioniamo di progetti e investimenti che travalicheranno l’orizzonte temporale di questa legislatura e necessitano pertanto di un’ampia e rapida condivisione.

Carlo Fidanza
Capodelegazione Fratelli d’Italia – ECR
al Parlamento Europeo

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